“La Valle del Colca tra vulcani e condor: lo spirito della Pachamama” di Miriam Focili

Il Perù è stato il viaggio della vita, quello che cambia la tua visione delle cose, le priorità. E’ un viaggio in un mondo diverso che non fa parte di te.

Ma c’è un momento preciso in cui ne abbiamo preso coscienza, circa a metà del cammino verso Macchu Picchu.
Approdare nella remota Valle del Colca sulle Ande Peruviane, infatti è il più magico dei regali, ci si affaccia sull’infinito: il canyon che la caratterizza è una profonda faglia che fende la terra, tutto interno maestose cime e vulcani che arrivano a toccare i 6.000 m. Magico è vederle sorvolate dai condor, che da secoli incarnano lo spirito della cordigliera.

Qui coesistono forze primordiali come la Pachamama, la madre terra, dea degli Incas che sembra essersi asserragliata quassù dove nessuno possa toccarla.
Il Colca Canyon è un’avventura di 2 giorni a 180 km a nord della bellissima ciudad blanca di Arequipa: la porta sulle Ande, la prima grande città che i viaggiatori incontrane lungo il loro cammino verso la Cordigliera.

Con un pullman e la gita organizzata dall’agenzia partner dell’albergo La Casa de mi abuela, partiamo per questo luogo unico al mondo, e se già in mezzo alle lande peruviane ti senti lontano qui lo sarai ancora di più. Là ci aspetta il villaggio coloniale di Chivay. Si viaggia su altopiani e passi montani che raggiungono i 5000 metri, attraverso panorami colorati dell’ocra verde della puna, sotto la luce accecante di un cielo terso, verso la Pachamama.

Pachamama in lingua chequa significa Madre terra. Era venerata dagli Incas e da altri popoli dell’altopiano andino come gli Aymara. E’ la divinità femminile per eccellenza, la grande madre primordiale che tutto ha generato e che si contrappone a Inti, il Dio del sole, il maschio, che dall’alto da vita col suo calore. La Pachamama è un culto popolare e contadino del Tahuantinsuyo, l’impero Incaico diviso in tre regioni , Inti invece era elitario, si personificava nell’imperatore Incas e nel suo seguito di alto lignaggio.

Si lascia Arequipa molto presto, all’alba, e ci si avventura con un pulmino scarrocciato nelle terre della Riserva Nazionale di Salinas y Aguada Blanca dove ci sono camelidi ovunque sugli altopiani della puna… llamas alpcas, guanacos, già abbiamo imparato a riconoscerli, avvistiamo pure le vigogne (vigunas), animali dal pelo pregiatissimo e non addomesticabili. Poi c’è gente del luogo che allestisce mercatini per l’arrivo dei turisti, unica occasione per guadagnare una manciata di soles. Il viaggio dura qualche ora ma non ci si stanca mai di quello che si presenta di fronte agli occhi, sono luoghi che sembrano non avere confini. C’è un unico punto di ristoro lungo il percorso, una grande baracca affollata e colma di allegro disordine: qui si vendono i più noti snack commerciali ma vengono anche preparate tisane andine con le erbe tipiche della puna. Si arriva a toccare quota 4910 al mirador delle Ande, riconoscibile per le centinaia “sculture” di sassi lasciate dalle persone che si avventurano in questi luoghi per lasciare un segno del proprio passaggio.

Finalmente nel primo pomeriggio giungiamo a Chivay, un minuscolo paese coloniale incastonato nella vallata a pochi chilometri dal canyon del Colca dove il giorno seguente cercheremo di avvistare i condor. Sembra un antico pueblo sospeso, senza tempo. Ci sono ragazze coi costumi tipici e capesinos vestiti a festa che portano in processione una sorta di tabernacolo raffigurante il Cristo flagellato. In Perù le celebrazioni religiose sono frequentissime, non sono solo occasione di devozione ma anche di ritrovo e festeggiamento. Ci affacciamo sul sagrato e ascoltiamo una piccola parte della messa dove il prete officiante predica ai fedeli di rinunciare alle lusinghe e alla seduzione della ricchezza indicando i soldi come il male assoluto. Sebbene parli il castigliano il suo monito è chiarissimo: rinunciare a tutto in favore della povertà…Rimaniamo allibiti da tali parole. I paesani del Colca, relegati quassù vivono di niente, dormono in baracche, se non ci fosse turismo sarebbe un luogo perso nell’oblio. Eppure si predica la rinuncia.


E’ doveroso ricordare che l’intero Perù è un paese di estrema povertà, i suoi abitanti sorridono sempre pur vivendo di nulla. Con questo spirito solidale e di rispetto abbiamo affrontato il viaggio, snobbando per l’alloggio e la ristorazione società e catene americane o europee, scegliendo sempre e solo attività di proprietà peruviana. Anche se qualche volta abbiamo dormito un po’ scomodi, arrangiati e non al top della pulizia, non ce ne siamo mai pentiti. I sorrisi e l’amicizia dei locali ci hanno sempre ripagato, ci siamo sempre sentiti in debito. I prezzi sono irrisori rispetto ai nostri standard, quindi elargire delle mance può tradursi in una settimana di cibo per un peruviano.

Dopo esserci sistemati in albergo, noi purtroppo a certe lusinghe non rinunciamo, abbiamo ancora tempo per le hot prings, ovvero il centro termale La Calera. Non vediamo l’ora di fare questa esperienza…ci siamo portati dietro un costume dall’Italia solo per poterci bagnare a 4000 m di altezza. Le terme sono molto spartane ma l’esperienza di un bagno in acque bollenti al calare della notte, sotto il diluvio di stelle del cielo andino è qualcosa che ti porti dentro per sempre.

La mattina successiva la sveglia è prestissimo, quasi all’alba, perchè prima ci rechiamo al canyon del Colca e più possibilità abbiamo di vedere i condor sorvolare la zona…Questo almeno è ciò che ci viene detto. Con gli occhi assonnati facciamo velocemente colazione e saliamo sul pullman in direzione della faglia che fende la terra sempre più profondamente mostrando panorami mozzafiato. Gli altopiani sono scolpiti dai tipici terrazzamenti andini che sin dai tempi degli Incas vengono utilizzati per le varie colture agricole, ne vedrete tantissime da qui in poi fino alla valle sacra.

Nel punto in cui il canyon è più profondo (tocca i 100 m tra i due colossi vulcanici COROPUNA e AMPATO) ci si affaccia su una spettacolare terrazza panoramica, un mirador, chiamata CRUZ DEL CONDOR gremita di gente in attesa…qualcosa però mi fa sospettare che i nostri amici pennuti si guarderanno bene dal dare spettacolo di fronte a questo bagno di folla (e fanno anche bene). Le guide ci spiegano che sul costone della montagna di fronte questi rapaci nidificano quindi, con un po’ di fortuna, è possibile avvistarli in gruppi familiari mentre planano sfruttando le correnti di vento all’interno del Canyon. Attendiamo diverse ore, inganno il tempo facendo il giro dei mercatini spontanei: poi finalmente, intorno a mezzogiorno, il condor si palesa degnandoci della sua presenza. Dalla montagna arrivano in formazione e volteggiano sopra le nostre teste. Sono davvero enormi. Visti da vicino questi rapaci non sono bellissimi, infatti sono avvoltoi con la testa priva di piumaggio che si cibano di carogne. Il loro volo planante tuttavia è così leggero e suggestivo da incarnare perfettamente lo spirito mistico della cordigliera. Gli Incas li veneravano, li proteggevano, capisci perché. Qui esistono solo sorrisi, di bambini e campesignos, esiste la gioia di saper vivere di nulla, della bellezza delle montagna del volo leggero dei condor, dell’ocra della puna. Sappiamo che dovremo portaci a casa questo ricordo, questo insegnamento, quando torneremo nella civiltà, dove è sempre più difficile essere sereni e godere di quello che si ha.

Miriam Focili

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