Alberto Moravia nel libro “Un’idea dell’India” scriveva così:
“Allora sei stato in India. Ti sei divertito?
No.
Ti sei annoiato?
Neppure.
Che ti è accaduto in India?
Ho fatto un’esperienza.
Quale esperienza?
L’esperienza dell’India.
E in che cosa consiste fare l’esperienza dell’India?
Consiste nel fare l’esperienza di ciò che è l’India.
E che cos’è l’India!
Come faccio a dirtelo? L’India è l’India.
Ma poniamo che io non sappia affatto che cos’è l’India. Dimmi tu che cos’è?
Neppure io so veramente cosa sia l’India. La sento, ecco tutto. Anche tu dovresti sentirla.
Cosa vuoi dire?
Voglio dire che dovresti sentire l’India come si sente, al buio, la presenza di qualcuno che non si vede, che tace, eppure c’è.
Non ti capisco.
Dovresti sentirla, laggiù, a oriente, al di là del Mediterraneo, dell’Asia minore, dell’Arabia, della Persia, dell’Afghanistan, laggiù, tra il Mare Arabico e l’Oceano Indiano, che c’è e ti aspetta.”
Credo non ci siano parole migliori delle sue per spiegare un’esperienza indiana, credo che a volte non ci siano proprio le parole giuste per l’India, ma ho promesso a Claudio prima della mia partenza che ci avrei provato per il suo blog ed eccomi qui.
L’India ti destruttura, ti sconvolge, per l’india non si è mai pronti, mi aveva detto chi la conosce bene.
Mi sono imbarcata con un volo diretto per Delhi il 23 febbraio in compagnia di tre amiche.
Mi sono imbarcata senza aspettative, pensando che qualunque preparazione potessi fare, io all’India non sarei comunque stata pronta, tanto valeva partire con questa consapevolezza e lasciare fare a “lei”.
Otto ore di viaggio e atterriamo a Delhi, fila chilometrica per il controllo passaporti con la velocità tipicamente indiana. Quando ormai riusciamo a mettere il timbro d’ ingresso e ad andare al ritiro bagagli, i nostri zaini sono già stati tolti dal rullo e abbandonati per terra in mezzo a un corridoio, sorrido e mi dico: “Benvenuta in India”.
Abbiamo una sola giornata per girare a Delhi e così la sfruttiamo a pieno. Lasciamo le nostre cose in albergo e usciamo subito, ci facciamo strada tra clacson e mucche e saliamo su un tuk-tuk: direzione Old Delhi.
In mezzo ad un incrocio apriamo la Lonely Planet, un po’ stordite e confuse, ci accorgiamo presto che si può scrivere quello che si vuole sull’India, ma ciò che conta è l’esperienza che ti fanno fare le persone. Decidiamo quindi, tra i tanti indiani che cercano di accalappiare turisti, di fidarci di un simpatico signore che per poche rupie ci porta in giro in posti che forse non avremmo mai visto da sole in un solo giorno.
Un po’ sballottata dal viaggio inizio ad assaporare tutto in punta di piedi, quasi chiedendo il permesso, ma sentendomi subito a mio agio.
Nel rumore, nel traffico, tra le persone, nei vicoli con l’immondizia e i cani randagi che ci dormono sopra e le scimmie che scendono dai tetti tentando di rubare del cibo, percepisco qualcosa di più sottile e capisco che questa sarà una terra che parlerà al mio cuore e a cui sarà difficile dire addio.
Sono sempre stata un’attenta osservatrice e guardandomi intorno una cosa mi appare subito chiara: l’India non va affrontata con il nostro schema di pensiero. In India spesso non c’è un perché delle cose e se c’è sicuramente non si comprende con una mente analitica, decido così di mandare in vacanza da un’altra parte questa parte di me e di viaggiare leggera, solo con il cuore.
In un attimo è quasi sera e la nostra giornata a Delhi termina con la Puja al tempio di Shiva.
La Puja è una cerimonia induista con cui attraverso un’offerta si compie un atto di devozione e adorazione ad una Divinità.
Entriamo scalze, con dei fiori colorati in mano e prendiamo timidamente parte alla nostra prima cerimonia induista del viaggio.
Certa di essere ascoltata, chiedo protezione, per me e le mie compagne di viaggio.
Il giorno seguente siamo di nuovo in aeroporto, ci attende un volo interno: direzione Varanasi, la città Sacra.
Quando prima di partire avevo raccontato che avevamo deciso di metterla come prima tappa del viaggio, molte persone mi hanno dato della matta.
Varanasi è la città dell’india in cui almeno una volta nella vita un induista si deve recare in pellegrinaggio per immergersi nel fiume sacro: il Gange.
Secondo l’induismo, l’unico posto della Terra in cui gli Dei consento di sfuggire al ciclo di morte e successiva rinascita è la riva occidentale del Gange a Varanasi.
In poche parole a Varanasi gli indiani vanno a morire o ci arrivano già morti: i loro corpi vengono bruciati su delle pire all’aperto e lo loro ceneri offerte al Gange.
Non c’è niente di poetico, niente di nascosto: qui la morte è sotto agli occhi di tutti e viene considerata un normale passaggio, una tappa che la nostra anima nel suo lungo percorso compie più e più volte. Se riesci a morire qui, secondo gli induisti, la tua anima viene liberata dalle fatiche di un’altra vita.
Varanasi è una città forte, lo sapevo e dentro di me la temevo.
Ma la verità è che di Varanasi me ne sono innamorata e l’ho capito nell’istante in cui i miei occhi si sono posati per la prima volta sul Gange, Il fiume Sacro.
Sarei stata ore seduta sui Ghat (gradinate) a guardarlo in silenzio, mentre gli indiani facevano le abluzioni, mentre i bambini correvano, i Baba vestiti di arancione rimanevano immobili in meditazione o i bramini celebravano la Puja al tramonto.
Ganga Ma, lo chiamano, come una presenza silenziosa che ti protegge e ti cura, proprio come solo una mamma sa fare.
Tre giorni volano e in un attimo ci troviamo, con qualche ora di ritardo, su un altro volo interno per Udaipur, in Rajasthan. E’ questo lo stato indiano che vogliamo visitare e la nostra idea è quella di risalire da Udaipur verso Delhi, visitando le città principali.
Udaipur è una tranquilla e carina città, anche conosciuta come “città dei Laghi”. Si sviluppa intorno al lago Pichola, artificiale, che il giorno seguente visitiamo insieme allo splendido City Palace.
Ce la prendiamo calma, godendoci un po’ di pace e iniziando a immergerci nello splendido Rajasthan, proprio quello che ci voleva dopo tre giorni nella intensa Varanasi.
Senza fretta cerchiamo un driver che ci possa portare due giorni dopo verso Jhodpur; in cinque minuti organizziamo tutto e capiamo che, a differenza di quello che si legge nei blog, non è così difficile girare l’India senza organizzarsi troppo, tutto sta a con che testa si affronta il viaggio.
Gli spostamenti in India non sono semplici, per poche centinaia di chilometri a volte ci si impiega diverse ore. Le strade sono trafficate, spesso piene di buche, i sensi di marcia non sempre rispettati e se poi una mucca decide di sdraiarsi in mezzo alla carreggiata il ritardo aumenta considerevolmente.
La guida indiana è di sicuro un’esperienza intensa, a volte divertente, altre un po’ meno: anche qui lo schema di guida occidentale va un pochino messo da parte, gli indiani hanno un modo di guidare tutto loro.
Da Udaipur affrontiamo il nostro primo spostamento e arriviamo a Jodhpur.
Jhodpur è una città bellissima, conosciuta come “la città Blu” per le sue caratteristiche case, residenza di famiglie di Bramini, interamente dipinte di blu.
Ci concediamo un bellissimo albergo, con un terrazzo da cui si gode una vista meravigliosa. Il tragitto per raggiungere l’albergo, situato negli stretti vicoli del centro, lo facciamo su un tuk-tuk. L’autista decide di caricare noi quattro e tutte le nostre valige, siamo schiacciate come delle sardine e lungo il percorso veniamo fermati da più di una persona che, in lingua locale, avvisa il nostro autista che le ruote del suo mezzo sono praticamente a terra. Lui, non curante, prosegue con la sua spericolata guida evitando persone, macchine, mucche fino portarci (sane, salve e tutte intere) alla meta.
Un po’ sballottate dal lungo viaggio e dal rush finale in tuk tuk decidiamo di uscire subito a vedere la città e cercare un posticino per cenare.
Le vie del centro sono piccole e intricate, ancora piene di gente che pian piano chiude le loro attività e si reca a casa. Giriamo un angolo e nel bel mezzo del traffico troviamo un piccolo tempio, dove la gente prima di tornare a casa si ferma per la Puja. Canti, campane e mantra si accordano ai mille clacson andando a formare una melodia che solo l’india è capace di farti ascoltare.
Troviamo il nostro ristorante su una piccola terrazza: suonano dal vivo, ci gustiamo la cena e finiamo la serata ballando con degli sconosciuti.
I giorni successivi li passiamo a visitare meglio la città e i suoi dintorni: lo spicy market, la clock tower, il Toorji Ka Jhalra (un bellissimo pozzo), lo splendido Mehrangarh Fort da cui si puo’ osservare tutta la città.
Lasciamo Jodhpur per andare a Jaipur, decidendo di fare una breve visita a Pushkar, purtroppo non abbiamo abbastanza tempo per poter fermarci qualche giorno, ma quel che vediamo ci piace moltissimo.
E’ considerata una delle città sacre dell’india ed è meta di pellegrinaggio induista e città che ospita uno dei pochi templi dedicati al Dio Brahma. La città si sviluppa intorno a un lago artificiale dove i fedeli si recano per le abluzioni. Ci togliamo le scarpe e scendiamo lungo il ghat per ammirare quel rituale che ormai ci è familiare.
Nel tardo pomeriggio raggiungiamo Jaipur. Anche chiamata “la città Rosa”, dopo che gli edifici del centro vennero fatti dipingere di rosa in onore della visita del Principe del Galles.
Bellissima la sera e ancora di più di giorno, la scopriamo girando per le sue vie e visitando i maggiori posti di interesse: il favoloso palazzo dei venti, il centro astrologico, i suoi mercati, l’Amber Fort e il Man Sagar Lake.
Quello che però ormai mi appare chiaro è che la bellezza dell’India risiede nelle piccole cose, negli sguardi della gente, nelle cerimonie induiste in piccoli tempietti lungo la strada, nei bambini che si divertono con poco, nei suoi mercati dai mille colori; questa terra ha la capacità di stupirti mentre giri l’angolo di una strada, quando ti fermi a parlare con qualcuno o quando entri in un negozietto per fare un piccolo acquisto. Ti regala emozioni inaspettate che hanno il potere di trasformare un semplice viaggio in qualcosa di meraviglioso.
A Jaipur ci rendiamo conto che il nostro viaggio sta quasi per giungere al termine, ci aspetta l’ultima tappa del prima di tornare a Delhi e riprendere un volo per l’Italia: il Taj Mahal.
Dato che lo spostamento è un po’ più breve partiamo con più calma e ci concediamo un breve stop a metà strada per vedere uno dei pozzi più antichi del rajasthan. E’ situato in un minuscolo paesino che ovviamente cogliamo l’occasione per girare. Sono solo due strade parallele, fatte di gente sorridente, di sguardi di bambini curiosi e di due milioni di moschini.
Arriviamo ad Agra nel pomeriggio, prendiamo un albergo a due chilometri a piedi dal Taj Mahal in modo tale da riuscire a raggiungerlo facilmente a piedi all’alba, momento della giornata più indicato per vederlo, sia per le luci suggestive del sorgere del sole, sia perché non totalmente invaso dai turisti. Agra ci sembra una città molto caotica, decidiamo di limitarci alla zona del nostro albergo, ceniamo presto e ci ritiriamo relativamente presto e in un attimo arriva il suono della nostra sveglia alle 5 del mattino.
Raggiungiamo il Taj Mahal velocemente, la biglietteria è ancora chiusa e non ci sono fortunatamente molti turisti in coda, perdiamo invece parecchio tempo per i controlli sicurezza e ormai il sole è già sorto da un po’. Quando riusciamo ad entrare ci dirigiamo verso l’arco d’ingresso, lo spettacolo è comunque meraviglioso: una struttura perfetta e immensa dirompente sullo sfondo. Comprendo perché sia considerato una delle sette meraviglie del mondo.
Il Taj Mahal è un mausoleo costruito per celebrale la moglie preferita dell’imperatore.
Pian piano che ci avviciniamo la sua bellezza e la sua imponenza aumentano, curiosa di vedere l’interno, personalmente ne rimango delusa. Lo percepisco freddo e la mia mente corre subito ai molteplici piccoli tempi induisti incontrati per strada, ricchi di devozione, preghiera e fede indiana e penso che ciò che fa la grandezza di un posto è la sua energia, non solo la sua bellezza esteriore.
Lasciamo il mausoleo e ci dirigiamo in albergo, ci attende l’ultimo spostamento.
Si torna a Delhi per poi prendere un ultimo aereo verso l’italia.
Arrivo in aeroporto controvoglia, vorrei rimanere ancora e l’India sembra accorgersene, infatti il nostro aereo parte con un ritardo di nove ore.
Più di una volta durante la lunga attesa, penso di rimanere lì; ma la mia mente torna a quello che mi ha insegnato il Cammino di Santiago: il vero viaggio inizia al ritorno a casa.
Per quanto un viaggio possa essere emozionante e magnifico, rimane di poco significato se l’energia e le intuizioni che ti ha regalato non vengono trasformate in azioni e cambiamenti concreti, il viaggio senza volontà e l’impegno quotidiano rimane una bella vacanza fine a se stessa, uno stacco da un periodo di lavoro, da un momento difficile o solo svago. Il vero viaggio è quello che si compie ogni giorno della nostra vita.
Salgo sull’aereo con un groppo alla gola, tipico di chi lascia un posto che sente come casa. Mi chiedo se sia normale, ma poi mi arriva un messaggio in cui un’amica mi scrive: “Tutto normale, è l’effetto India”.
L’aereo si stacca da terra e penso: “ Grazie di tutto, non ti deluderò”.
Una cosa è certa, l’india mi ha fatto innamorare, di lei.
Nonostante le sue contraddizioni, nonostante la povertà e il caos, nonostante il cibo a volte davvero troppo piccante e gli assordanti clacson suonati senza senso logico, è stata una terra in grado di regalarmi emozioni, instanti di chiarezza e intuizioni, è stata come un abito che non appena indossi senti che ti va perfetto, in cui ti trovi perfettamente, come una madre che ti cura, come un’amica che ti consiglia.
E una volta incontrata, anche a milioni di chilometri di distanza si sente “come si sente, al buio, la presenza di qualcuno che non si vede, che tace, eppure c’è”.
Grazie Chiara !!! Ho condiviso con te questo viaggio , questa esperienza , tante emozioni … Bellezza , misticismo , amicizia . Abbiamo riso , abbiamo pianto , ci siamo emozionate . Questi i regali più belli dell ‘India . Il posto giusto al momento giusto ! Le amiche giuste hanno reso questa esperienza perfetta . Grazie ancora Chiara . GRAZIE ancora India
sei stata una compagna di viaggio super! Al PROSSIMO VIAGGIO SOCIA! <3
..Non si conosce il perché delle cose e la maggior parte delle volte,la necessità non é cercare il perché,ma “gustare gli eventi”…
Oggi,casualmente,ho letto un po’ di India con i tuoi occhi Chiara e..TI RINGRAZIO PER L’EMOZIONE CHE MI HAI REGALATO.
Ho letto tutto in un fiato,mentre asciugavo i capelli di fretta e in un attimo mi sono accorta che la fretta era passata.Avevo l’ansia di fare 1000 cose;questa ansia é passata.Ho accolto la mia bambina tra le braccia ed ora mentre la allatto,scrivo..Scorrono delle lacrime di gratitudine.Da poco abbiamo iniziato un corso di massaggio infantile.La fondatrice AIMI,Vimala Mc Clure ha iniziato tutto al ritorno da un viaggio in India.
Conoscevo la storia della nascita del massaggio,ne sono insegnante ma…..Non avevo capito credo..Leggendo le tue parole,vivendo la maternità e semplicemente ASCOLTANDO..Accolgo il messaggio del massaggio e ciò che l’India é riuscita a regalare a milioni di bambini dall’altra parte del mondo……GRAZIE
Alice, grazie per ciò che scrivi! che tu sia una mamma super già lo si sapeva e sei ancora più super perché anche senza esserci stata hai già capito tutto <3 In attesa di abbracciarvi di nuovo lo faccio virtualmente
Grazie Chiara!
Non sono mai stata in India e, immaginarla leggendo il tuo racconto, x me è meraviglioso! Hai ragione l’India bisogna viverla…
Gente e luoghi che ti regalano emozioni uniche… viene veramente voglia di andarci!
Emy