C’era una volta in Messico

Nel 2019 volare è diventato talmente economico da abbattere definitivamente le distanze. Basti pensare che compagnie low cost offrono ormai voli da 10-20 euro a tratta per le maggiori città europee, che si può ormai raggiungere New York con volo diretto a partire da 300 euro oppure arrivare in Asia con poco più di 400 euro.

Ma c’è stato un tempo in cui prendere un aereo voleva dire investire circa un migliaio di euro.

Quindi a tanti di voi non farà troppo effetto a sentirlo adesso, ma quando nel 2008 decidemmo di partire per il Messico, ci sembrò di partecipare ad una grande impresa…

Cinque ragazzi di ventiquattro o venticinque anni, cinque zaini e due biglietti a testa, nient’altro.
Da Città del Messico a Cancún, ventitré giorni, senza aver pianificato alcuna tappa: nel primo viaggio fuori dall’Europa avevamo fame di avventura e libertà, in un periodo in cui non c’erano smartphone o roaming, in cui una cartina geografica, una guida turistica e un piccolo dizionario erano tutto quello che poteva servire.

Chichén Itza

Ai più nostalgici (compreso il sottoscritto) starà scendendo la lacrimuccia adesso…

Atterrati in un posto immenso, lontano e tutto da scoprire, per la prima volta.

Per la prima volta ho provato la sensazione di lasciarmi tutto alle spalle e poter essere completamente me stesso, essere libero.
Col passare del tempo sarebbe diventato un appuntamento fisso, anno dopo anno, viaggio dopo viaggio.

Percorremmo circa 2000 chilometri, incantandoci nella giungla che nascondeva Palenque, la città Maya del Grande Re Pakal, salendo montagne fino al confine col Guatemala, per poi riscendere lungo il Chapas e fare tutta la costa dello Yucatan.

Tutto questo ha avuto un grande comune denominatore: abbiamo viaggiato sempre ed esclusivamente in pullman.
Durante quelle lunghissime e spettacolari ore, il mondo fuori dal finestrino diventava uno schermo sul quale avrei imparato più che in ogni libro o film.

La lezione più grande che potesse esserci: vedere persone che non hanno niente sorridere.

In viaggio nel Chapas (dodici ore di pullman)

Sembra la classica frase fatta, ma quel viaggio on the road fatto di paesini, cittadine o solo anche case qua e là, mi mostrò il vero volto del Messico. Quello di bambini e ragazzini con un soffitto di legna e foglie sopra la testa, ma che ogni volta che incrociavano i nostri sguardi sorridevano scuotendo la mano.

A vent’anni pensi di poter avere tutto il mondo e a volte ti lamenti o crucci di non poter averlo come e nella quantità che vuoi.

Poi incroci quegli sguardi, e tutto cambia.

Capisci l’importanza della differenza tra avere ed essere, una parte che non conoscevi si risveglia e realizzi che quando tornerai tutto sarà lo stesso, ma tu sarai diverso.

Si accende un fuoco dentro, che chi incontrerai non potrà fare a meno di notare.

La prima volta che ho capito cosa volesse dire essere “cittadino del mondo“.

Abbattere le barriere interne e condividere il mondo con gli altri.

Palenque

Bellissimo esempio fu un pomeriggio in cui stavamo giocando tra di noi a calcio sulla spiaggia di Playa del Carmen.
Arrivarono tre ragazzi argentini, chiedendo di fare una partita. Dopo mezz’ora eravamo ventidue: noi, loro, messicani, olandesi e statunitensi. Squadre miste. Non esisteva più io gioco con te e tu con me, eravamo una cosa sola.

C’era una volta in Messico, perché sarebbe stato il primo di una serie di viaggi che avremmo fatto in giro per il mondo, per alcuni anni di fila tutti insieme, non ci sarebbe stata cosa più bella.

E il primo atto fu davvero unico.

Correva l’anno 2008…

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